Con l’acronimo UPF si intendono gli ultra processed food ovvero cibi ultra processati.
Sono saporiti e piacevoli al palato, veloci da preparare e si conservano a lungo. Senza dubbio sono molti gli aspetti positivi dei cosiddetti “cibi ultraprocessati”, ossia alimenti confezionati e pronti per essere riscaldati o consumati direttamente, frutto di ripetute lavorazioni industriali. Tuttavia assumerne troppi può creare problemi per la salute e aumentare in modo rilevante il rischio di mortalità, in particolare per le malattie cardiovascolari ma anche per i tumori.
Un'alimentazione ricca di cibi ultraprocessati infatti è direttamente collegata a 32 effetti avversi sulla salute, inclusi problemi di ansia, depressione, obesità, diabete di tipo 2 e alcune forme di cancro. Lo ribadisce un importante studio pubblicato sul British Medical Journal, che ha preso in considerazione il meglio della letteratura scientifica sul tema degli ultimi 3 anni e dati su quasi 10 milioni di persone.
Ma esattamente, cosa si intende per cibo non processato, processato e ultra processato?
Il cibo è considerato non processato o minimamente processato quando si presenta integro, così come è presente in natura o con solo pochi cambiamenti rispetto al suo stato originario, con piccole modifiche magari effettuate per renderlo adatto al consumo umano. Carote, mele, pollo crudo sono solo alcuni esempi.
Un certo grado di lavorazione degli alimenti è piuttosto comune e consiste, per esempio, nella cottura e nell’aggiungere sale o olio. Se ciò avviene industrialmente, come per esempio con i legumi in scatola, i cibi sono detti processati.
I cibi ultraprocessati sono chiamati in questo modo perché contengono numerosi ingredienti aggiunti (per esempio sale, zucchero, coloranti, additivi) e inoltre perché spesso sono prodotti dall’elaborazione di sostanze (grassi, amidi eccetera) estratte da alimenti più semplici. Rientrano nella categoria dei cibi ultraprocessati molti piatti pronti e surgelati, le bevande zuccherate, i prodotti in vendita nei “fast-food” e molti snack confezionati (dolci o salati). In alcuni casi sono ultraprocessati anche alimenti erroneamente considerati salutari, come i cereali per la colazione, gli yogurt dolci alla frutta o i cracker.
Questi alimenti sono in genere ricchi di zuccheri aggiunti, grassi e amido raffinato che alterano la composizione del microbiota intestinale, ovvero i microrganismi che colonizzano il nostro intestino, contribuendo tra l’altro all’aumento di peso e all’obesità.
Riconoscere tali alimenti non è sempre facile, ma leggere l’etichetta riportata sulla confezione può essere di grande aiuto: se un cibo non è stato processato, l’unico ingrediente è in genere l’alimento stesso (per esempio: carota o mela). Se invece la lista degli ingredienti si allunga, aumenta anche la probabilità che tale alimento sia stato lavorato o ultralavorato.
Quali meccanismi biologici sono alla base degli effetti sulla salute dei fenomeni osservati?
Una delle principali responsabilità di questi alimenti è di essere poveri dal punto di vista nutrizionale e molto ricchi dal punto di vista energetico. In genere contengono infatti grandi quantità di grassi e di zuccheri, mentre sono privi di alcune sostanze fondamentali per il benessere dell’organismo, quali fibre o vitamine.
Il basso valore nutrizionale di questi alimenti non basta però a giustificare tutti i loro effetti negativi, come dimostra lo studio italiano. Oltre ad avere un profilo nutrizionale spesso non ottimale, i cibi ultraprocessati contengono additivi, emulsionanti, zuccheri artificiali e altre sostanze dall’elevato potere infiammatorio.
Inoltre, nei processi di lavorazione o riscaldamento si possono generare sostanze potenzialmente cancerogene, come nitrosamine o acrilamide.
I potenziali meccanismi alla base del rischio associato al consumo di cibi ultraprocessati sono dunque numerosi, e ancora in gran parte da scoprire. Tuttavia le osservazioni epidemiologiche oggi disponibili bastano a confermare che questi alimenti rappresentano una minaccia per la salute quando diventano la colonna portante dell’alimentazione quotidiana.
Cosa fare dunque? Limitarne il consumo allo stretto necessario, leggere sempre con attenzione le etichette e trovare il tempo di cucinare di più a casa, partendo da ingredienti non processati.
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