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Uva: il nettare degli Dei

Le origini della pianta sono remotissime, il più antico reperto fossile riconducibile al genere Vitis è datato 60 milioni di anni fa. Difficile stabilirne le origini esatte ma indicativamente l’area sembra essere compresa tra l’Asia occidentale, l’Europa e l’Africa settentrionale.
Detto ciò, l’Italia, oggi, è il primo produttore europeo di uva da tavola, nel mondo secondo soltanto al Cile.
Definita dagli antichi greci “il nettare degli Dei”, l’uva ha un valore nutrizionale riconosciuto da tutti i professionisti della nutrizione.
Per dare un'immediata idea circa l'importanza fitoterapica dell'uva, basta paragonare ogni suo acino ed ogni sua foglia ad una mini-farmacia!
A questo proposito esiste infatti un vero e proprio regime alimentare, conosciuto già al tempo dei romani, composto da acini o succo d’uva che si chiama “ampeloterapia” da ampelos, che in greco significa vite. Questo tipo di alimentazione, conosciuta anche come dieta dell'uva, è una pratica molto apprezzata da chi vuole fare una dieta disintossicante e depurativa.

Ma che differenza c’è tra “uva da tavola” e “uva da vino”?
Ovvero, quali sono esattamente le differenze con le più “pregiate” e conosciute varietà da vino? Innanzitutto è questione di specie: mentre l’uva da vino (perlomeno in Europa) può appartenere esclusivamente alla specie Vitis vinifera, l’uva da tavola ammette anche le varietà da Vitis labrusca originarie del Nord America.
Un’altra differenza fondamentale sta nel rapporto tra zuccheri e acidi al momento della raccolta, quello che in enologia viene definito “maturazione tecnologica” dell’uva. Nelle varietà da vino in genere si ricerca un certo equilibrio, non solo tra le due componenti in vista dell’invecchiamento, ma anche in relazione allo sviluppo delle sostanze fenoliche (tannini e antociani) e aromatiche presenti nella buccia. L’uva da tavola invece se ne infischia: il frutto viene considerato maturo quando gran parte degli acidi nella polpa sono stati sostituiti dagli zuccheri, per un rapporto tutto spostato sulla dolcezza.

Vediamo allora le principali varietà di uva da tavola:
- Uva Italia: acini giallo-verde, caratterizzati da buccia spessa e croccante (si tratta di una varietà fra le più resistenti) e polpa succosa e molto dolce.
- Uva Regina: tra le più antiche cultivar del bacino mediterraneo. Acini dorati, buccia spessa e resistente, polpa dolce e aromatica.
- Uva Cardinal: acini sferici di colore rosso scarico con polpa croccante e carnosa. Dolce e “masticosa”, la vediamo bene nella sangria classica.
- Uva Victoria: un vitigno precoce a bacca bianca e molto grossa e soda, con buccia spessa e colore giallo carico.
- Uva Red Globe: arriva dalla California ma qui da noi si è adattata benissimo, tanto da diventare una delle varietà più coltivate in Italia. Come suggerisce il nome, è caratterizzata dal tipico colore rosso-violaceo e dalla spiccata dolcezza: basta aggiungere qualche chicco alla macedonia invernale e non avrete neanche bisogno di mettere lo zucchero.
- Uva Autumn Royal: fa parte delle varietà apirene, ovvero senza semi. Si tratta di un’uva a bacca nera dal colore intenso, di forma ellittica.
- Uva Baresana: varietà antica dell’entroterra barese fa parte dell’Arca del Gusto Slow Food. è caratterizzata dal colore bianco-perlaceo quasi trasparente, polpa croccante e buccia sottilissima, fattore quest’ultimo che la penalizza in termini di conservabilità e capacità di trasporto.
- Uva Montonico: è un Presidio Slow Food del Teramano. Si tratta di un vitigno molto vigoroso capace di crescere oltre i 500 metri di altitudine e adattabile a molti tipi di terreni, anche quelli alle pendici del Gran Sasso. Gli acini, grossi e rotondi, hanno colore giallo-verde e polpa carnosa e succosa. la Montonico è ideale per l’appassimento.
- Uva Pizzutello di Tivoli: è una cultivar tipica del Lazio a bacca bianca o nera. Il nome, al pari dei pomodori campani, si riferisce alla forma peculiare degli acini: arcuata, allungata ed ellissoidale, detta anche “dattiliforme”. Si caratterizza per la buccia sottile, la polpa croccante e il sapore dolce e delicato con retrogusto di vaniglia.
- Uva Apuliae Rose: varietà apirena tipica pugliese, caratterizzata dal colore rosa delle sue bacche.
- Uva Michele Palieri: tra le varietà a bacca nera più diffuse in Italia, prende il nome direttamente dal suo inventore che la ottenne da un incrocio tra Alphonse Lavallée e Red Malga. Matura tra agosto e settembre ed è caratterizzata in primis dalla resistenza al trasporto.
Uva Moscato di Amburgo: si caratterizza per l’elevata resistenza alle malattie, in particolar modo la peronospora, e per il vigore della pianta. Gli acini hanno colore marrone-rossiccio e la polpa, succosa e dolce, è molto profumata.
- Uva Fragola: è la più nota tra le specie di Vitis labrusca, le varietà autoctone americane. Si distingue immediatamente per il sapore intenso di fragoline di bosco. Diverso discorso per il colore: abituati a immaginarla nera, bisogna sapere che la Fragola può anche essere Bianca (e più acidula), o Bianca Precoce (dalla dolcezza più spiccata). Ottima per la preparazione di confetture, gelatine e torte.
- Uva Sultanina: costituisce la varietà da essiccazione per eccellenza. Ha molte provenienze (Turchia, Grecia e Iran) e molti nomi (uvetta, uva passa o ancora Thompson Seedless). La sultanina fresca ha acini bianchi tendenti all’ambra, naturalmente senza semi e caratterizzati da un’elevatissimo contenuto di zuccheri. Molto energetica, l’uva disidratata ha un indice glicemico elevato. Si rivela ottima a colazione insieme a cereali integrali, avena e yogurt ma anche come ingrediente di dolci e insalate. Perfetta per gli sportivi prima e dopo performance faticose.
- Uva Zibibbo: tipica cultivar da vino, famosa soprattutto nell’isola siciliana di Pantelleria, la Zibibbo è anche un’ottima uva da tavola. Altrimenti conosciuta come Moscato di Alessandria, si distingue per il profumo intenso e il sapore straordinariamente aromatico.

Al di là di queste varietà possiamo dire che l’uva nera e l’uva bianca si equivalgono dal punto di vista nutrizionale, anche se l’uva bianca contiene una quantità lievemente maggiore di zuccheri mentre, dal punto di vista delle proprietà antiossidanti, l’uva nera ha la meglio. Essendo più pigmentata, infatti, vanta un quantitativo di antiossidanti, in particolare di resveratolo, superiore alla varietà bianca.

Infine, dal punto di vista dell’utilizzo, entrambe le tipologie di uva sono ideali per essere consumate “in purezza” o rientrare nella preparazione di ricette più elaborate come confetture, crostate di frutta, risotti, insalate autunnali o ancora in accompagnamento ai formaggi come ad esempio il gorgonzola o il parmigiano.

E tornando alle insalate autunnali, ecco la nostra suggestione:
Per 4 persone:
• 1 grappolino di uva nera
• 1 grappolino di uva bianca
• 1 fetta spessa di prosciutto cotto
• 1 sacchetto di crostini alle erbe
• 2 porcini
• 1 pugno di valeriana
• 2 cucchiai di semi di sesamo bianco
• 1 cucchiaino di spezie (curry, cannella, noce moscata, paprika dolce).
• 
Per il condimento: 
aceto balsamico
succo di limone
olio extra vergine d’oliva
sale
tabasco

Fai rosolare la fetta di prosciutto in padella in olio extra vergine d’oliva poi impanala nelle spezie mescolate. Lasciala raffreddare e tagliala a cubettini.
Monda l’insalata, lavala e asciugala molto bene.
Lava l’uva, asciugala e, se vuoi, elimina i semi con un piccolo scavino.
Monda i funghi e prepara il condimento emulsionando gli ingredienti previsti.
Poco prima del servizio mescola il prosciutto con l’uva, l’insalata e i crostini di pane. 
Condisci con il condimento preparato, sistema l’insalata sul piatto da portata e spolverizzala con il sesamo. Ricoprila con i funghi porcini tagliati con il taglia tartufi e servi.

Buon appetito!

 

La stagione dei fichi

Induisti e buddisti considerano i fichi dei frutti sacri, simbolo di verità e conoscenza; nell’Antico Testamento il fico era considerato un simbolo di fertilità al pari della vite; secondo la mitologia, invece, fu proprio una pianta di fico a “salvare” Romolo e Remo dalle impetuose acque del Tevere quando la cesta in cui erano adagiati si arenò proprio sotto una pianta di fico selvatico. Gli ellenici li consideravano afrodisiaci al punto che usavano il termine “sykon” (fico) per indicare i genitali femminili.
Queste storiche testimonianze ci fanno capire quanto il fico sia un frutto dalle origini molto antiche, e intorno al quale sono state tramandate tante storie, miti e leggende.
Ma siamo sicuri si tratti di un frutto?
Per essere precisi infatti, quello che noi definiamo frutto del fico è tecnicamente una infruttescenza, mentre i veri frutti sono i semini presenti all’interno della polpa.

Detto ciò, il fico, originario dell’Asia, oggi è ampiamente diffuso in tutto il mondo in una grande varietà di colori, gusti e consistenze.
La più comune è la “Ficus carica”, che specialmente in Italia, al Sud e in alcune zone della pianura Padana, si è acclimatata benissimo. Non stupisce dunque che anche le varietà italiane viaggino sull’ordine delle centinaia, due delle quali hannoaddirittura guadagnato la Denominazione di Origine Protetta (DOP):
• i Fichi di Cosenza, frutti essiccati coltivati nella parte nord della provincia
• i Fichi bianchi del Cilento

Per aiutarci dunque nell’arduo compito di fare delle distinzioni, possiamo suddividere i fichi in 3 grandi categorie, definite sulla base del colore e della morbidezza:
fichi neri, asciutti ma tanto zuccherini
fichi verdi, morbidi dalla la buccia molto sottile
fichi viola dolci, delicati e molto succosi.

E poi ancora in base al periodo di maturazione e dunque troveremo per primi:
• i fioroni o fichi precoci, sviluppatisi da gemme dell’autunno precedente, che maturano a inizio estate
• i fichi veri o fòrniti da gemme primaverili che maturano a fine estate
• i cimaruoli formati da gemme estive che maturano in autunno

Per riuscire a scegliere i prodotti migliori, c’è però una regola comune molto efficace: scegliere quelli più morbidi e gonfi, con il picciolo sodo. Bisogna evitare invece i fichi troppo molli e che tendono già ad avere un odore acidulo ed è importante controllare che nella parte inferiore non vi siano principi di muffa e che non abbiano perso succo, il quale li fa fermentare velocemente.
Vanno conservati in frigorifero, meglio se in un contenitore ermetico foderato con carta assorbente.
In generale i fichi maturi non si conservano oltre 2 giorni.

Il modo più semplice per gustare i fichi è mangiarli freschi, da soli, senza aggiunte di altri ingredienti a meno che non si tratti di una fetta di prosciutto San Daniele!
E badate bene: la buccia è commestibile ed è anche molto dolce dunque non pelateli, lavateli semplicemente con acqua corrente, asciugateli con carta assorbente e mangiateli interi oppure tagliati a metà o a spicchi mentre.
Quando i fichi sono troppo maturi, se in quantità elevata, possono essere trasformati in confettura o cotti brevemente e consumati freddi come frutta cotta o utilizzati per una crostata.

Poiché risulta molto difficile reperire i fichi fuori stagione e conservarli per più di due giorni, è molto diffusa anche la pratica di essiccarli, per poi consumarli in ogni stagione dell'anno.

In generale, le varietà a buccia scura vengono consumate soprattutto fresche o trasformate in confetture. Le varietà a buccia bianca oltre che per il consumo fresco, sono destinate soprattutto all’essiccazione.

Ma vediamo quali proprietà hanno.
I fichi sono ricchi di potassio, ferro e calcio, oltre che di vitamina B6, vitamine del gruppo A, B1, B2, PP, C. La presenza del potassio ne fa un alimento che può aiutare a tenere sotto controllo la pressione del sangue, inoltre essendo una buona fonte di fibre favoriscono il buon funzionamento dell'intestino. I fichi hanno proprietà energizzanti e antinfiammatorie; fanno bene alla pelle, alle ossa e ai denti.

Sono supernutrienti ma contengono solo 47 calorie per 100 grammi che, essendo per lo più zuccheri semplici, sono facilmente assimilabili. Ricordiamo invece che i fichi secchi, essendo privati dell'acqua, oltre a essere molto più calorici (offrono circa 282 calorie ogni 100 grammi) hanno pure un alto indice glicemico, pertanto non sono adatti nelle diete dimagranti e per chi soffre di diabete.

Le carote e l'abbronzatura

Mangiando carote ci si abbronza di più?
No, ma la pelle sta meglio!

Con l’arrivo dell’estate il consiglio di mangiare carote per favorire l’abbronzatura diventa quasi un tormentone. Ebbene, in realtà non esiste alcun alimento, neanche la carota, che “faccia abbronzare” questo perché l’abbronzatura è una reazione difensiva del corpo: quando ci si espone al sole infatti, le cellule dello strato più profondo dell’epidermide producono melanina, un pigmento scuro che passa nelle cellule più superficiali e va a formare uno strato protettivo contro i raggi ultravioletti.

Durante tutto questo processo, i raggi ultravioletti penetrano fino al derma e distruggono una parte del collagene e delle fibre elastiche, mentre le reazioni chimiche che portano alla produzione di melanina hanno come conseguenza l’aumento di radicali liberi, ossia molecole molto reattive, che accelerano il processo di invecchiamento della pelle.

Il beta carotene in tutto ciò non ha alcun legame con la melanina e con l’abbronzatura ma, essendo il precursore della vitamina A, può svolgere una rilevante attività antiossidante e proteggere dunque la pelle dall’azione dei raggi ultravioletti.

Durante il periodo della “tintarella”, consumare alimenti ricchi di questo particolare composto bioattivo come carote, albicocche, mango, peperoni, spinaci, sebbene non aumenti l’abbronzatura, non può che essere utile dunque per una pelle sana.

E se volete assorbire al meglio il betacarotene, il consiglio è quello di consumare le carote cotte e condite con un filo d'olio. Il betacarotene, infatti, è maggiormente “biodisponibile”, ovvero più facilmente assimilabile dal corpo, dopo una breve cottura ed è liposolubile.

E se sei stanco delle solite carote bollite….scopri la nostra ricetta! Clicca qui

Fiori di zucca o di zucchina?

Fiori di zucca, fiori di zucchina ….ma che differenza fa?

La differenza in effetti è minima ma c’è!
I fiori di zucchina infatti sono tendenzialmente più grossi, presentano petali appuntiti di un giallo acceso tendente all’arancio e hanno una profumazione quasi nulla. I fiori di zucca invece hanno dimensioni minori, petali arrotondati giallo tenue e una profumazione più accentuata.

Generalmente, quelli che troviamo al supermercato o al mercato sono fiori di zucchina, che sono anche quelli che si prestano meglio per essere fatti fritti e/o ripieni.
Quelli di zucca invece, essendo più saporiti, e più delicati, sono più indicati per la preparazione di sughi, torte salate, risotti,….

Esiste però un’ulteriore differenza, che vale sia nel caso della zucca, che in quello della zucchina: i fiori possono essere maschili o femminili. Questi ultimi sono direttamente attaccati al frutto. La zucchina infatti cresce a partire dalla base del fiore, e così fa anche la zucca.
I fiori maschili, invece, crescono sul proprio stelo, detto peduncolo, e non portano a nessuna fruttificazione.
Solitamente dunque, sebbene siano commestibili entrambi, sono solo i fiori maschili ad essere raccolti perché quelli femminili servono per portare a termine la maturazione del frutto.
E altresì importante però che non tutti i fiori maschili vengano raccolti perché così facendo si impedirebbe la fecondazione della pianta, compromettendo la produzione dei frutti.
Come sempre, la giusta via sta nel mezzo!

E una volta che abbiamo tra le mani i fiori, come si puliscono?

Essendo molto delicati, sarebbe meglio evitare di lavarli sotto l’acqua corrente.
Per non rovinarli, l’ideale sarebbe immergerli rapidamente in una bacinella d’acqua fredda e poi lasciarli asciugare stesi e distanziati su un panno da cucina.
Questa operazione fatela però solo prima di cucinarli.
Evitate di lavarli con anticipo e poi riporli nel frigorifero perché, se non ben asciugati, l’acqua in eccesso rischia di farli marcire. Per lo stesso motivo, una volta acquistati, riponeteli in un contenitore foderato di carta panno o di carta cotone.
Prima di cucinarli è poi opportuno eliminare il pistillo centrale, che in cottura tende a diventare amaro, cercando di non rovinare i petali, specialmente se avete deciso di fare i fiori ripieni, ed eliminare i peduncoli alla base del fiore.
Il gambo potete deciderlo di tenerlo, soprattutto se li volete fare fritti: in questo modo sarà più facile intingerli nella pastella e poi tuffarli nell’olio.

Una volta puliti non avete idea di come proseguire?
Provate la nostra ricetta dei “fiori di zucchina alla ligure”, la trovate qui!